Il vino nella letteratura greca

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Il vino come specchio dell’anima

La storia del vino è millenaria, non ha mai smesso di essere al centro di usi e costumi. Anche nelle arti, questa bevanda alcolica ha trovato il suo spazio privilegiato. Nella letteratura greca, ad esempio, è stato un topos centrale, sviscerato ed evidenziato dagli autori più illustri. Impossibile, in quest’ottica, non pensare alla rilevanza sociale e letteraria che una figura come quella di Dioniso tendeva a ricoprire. Dio che, attraverso il vino, era in grado di abbattere le coriacee barriere sociali e rivelare l’identità più autentica delle persone. Proprio da questa consapevolezza è nata una delle più note credenze popolari greche. Tale trasformazione, questo smascheramento e rivelazione del proprio ‘Io’, ha condotto al divieto per le donne di consumare vino. I greci temevano potessero mutar forma, più precisamente assumere i connotati delle violente Baccanti, terribili e spietati mostri cannibali.

Consumiamo il vino, abitualmente, riuniti intorno a un tavolo, intenti a condividere momenti conviviali con altre persone. Questa immagine non si allontana molto dalla funzione che il vino aveva nella letteratura greca. Al di là dei miti, la bevanda alcolica in questione era considerata strumento di aggregazione e cultura. Il simposio è la manifestazione più evidente e concreta di questa concezione. Il termine stesso, letteralmente, significa “bere insieme”. Diverse, però, le funzioni consegnate al simposio. Eletto il simposiarca, i partecipanti proponevano a turno un argomento: è momento educativo, di discussione e di filosofia, luogo di enunciazione etica e della pratica paideutica, arena del confronto intellettuale. Non è un caso, che immagini del genere siano ben presenti in molti dialoghi di Platone. E propio il Simposio è forse il più conosciuto tra i dialoghi dell’autore. Il vino incanta, riesce a far dimenticare agli uomini le tristezze quotidiane. Nell’antichità, e nel mondo greco nello specifico, il consumo moderato di questa bevanda viene associato ad un percorso di cultura. È sorprendente notare come, a distanza di tanti secoli, non sia poi così diverso l’approccio da parte di chi ne rifugge l’abuso.

Proprio nel microcosmo del simposio nasce la poesia. Il vino è specchio dell’uomo: quale affermazione più esplicita di questa esiste, a proposito della concezione che in epoca greca si aveva del vino? A regalarci questa perla è Alceo, vissuto intorno al 600 a.C. La sua elaborazione letteraria è corredata e fortemente caratterizzata in questo senso. Per lui questa bevanda alcolica assume compiti ben precisi e di rilevanza assoluta: è nei banchetti che ognuno ritrova la propria identità, si riconosce nei valori condivisi dal proprio ceto. In Alceo, il vino diventa metafora di vita, venata però da linee evidenti di malinconia su cui incombe la percezione costante dell’inevitabile fine. Ecco allora il rimedio assoluto: il vino. Solo l’ebbrezza che deriva dal suo consumo può lenire i tetri pensieri di morte, la sofferenza che l’esistenza comporta. Nel frammento intitolato Non si vince la morte, l’incipit è chiaro:

Bevi e ubriacati con me, Melanippo

Ma nei suoi versi è possibile scovare enunciazioni ancora più esplicite. E, Il rimedio è il vino, è sicuramente la summa totale del suo pensiero:

Esiste una medicina, la migliore: portiamo qui il vino e inebriamoci

Addirittura, la leggenda narra che Alceo abbia composto gran parte delle sue opere da ubriaco. 

Platone e Alceo non sono i soli ad aver menzionato le funzioni e la rilevanza del vino all’interno dei propri componimenti. Archiloco, nel fr.120 si vanta di saper comporre il ditirambo solamente quando in preda all’eccitazione derivata dal consumo del vino:

Intonar so il ditirambo di Dioniso mio signore, il bel canto io so, dal vino folgorato nel mio cuore

Come non poter, inoltre, ricordare l’importanza di questa bevanda nei poemi omerici. Ma il vino assume, in tal caso, connotati diversi rispetto a quanto evidenziato da Archiloco. Questo ci dice Odisseo:

Il vino, folle, mi spinge, che fa cantare anche l’uomo più saggio e lo costringe a ridere di cuore e a danzare, e suscita parola che è meglio non detta

Qui ci troviamo in una situazione in bilico tra sacro e profano. In Archiloco, invece, la bevanda alcolica è ispiratrice del canto dionisiaco: come la Musa ispira un canto, il vino permette di comporre il ditirambo. Insomma, la visione e la concezione del vino muta e fluttua all’interno della letteratura greca, conservando però in sé una serie di importanti valori sociologici e simbolici.


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